Prima della moka, la bevanda si realizzava prevalentemente per infusione, come il tè, oppure per decozione, facendo bollire la polvere di caffè nell’acqua (tipo il caffè turco). In Italia, un metodo casalingo che è entrato a far parte della tradizione è quello che vede protagonista la caffettiera napoletana, detta anche “cuccumella”: l’acqua viene fatta bollire in un serbatoio inferiore e poi, capovolgendo il dispositivo, filtra lentamente attraverso il caffè macinato grazie alla forza di gravità. Questo sistema, messo a punto in Francia dal parigino Jean-Louis Morize nel 1819, era sì efficace, ma richiedeva grani finissimi, tempo e pure una certa abilità.
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Il cambiamento avviene grazie al piemontese Alfonso Bialetti, proprietario di una fonderia in quel di Crusinallo, vicino a Omegna, sul Lago d’Orta, che produceva semilavorati in alluminio, materiale tra i più utilizzati dell’epoca in quanto leggero, resistente ed economico, impiegato ai tempi del fascismo soprattutto nell’industria bellica e per fabbricare gli aerei. Le leggende su come Bialetti ebbe l’intuizione di sfruttare la pressione generata dal vapore sono varie, anche se la più gettonata vuole sia stata la moglie Ada mentre lavava i panni a ispirarlo. In che modo? Osservandola nell’uso della lisciviatrice, una macchina preposta per fare il bucato prima dell’avvento delle moderne lavatrici: come detersivo si usava la liscivia (un soluzione alcalina ottenuta dalla cenere di legna mescolata con acqua calda), da qui il nome dell’apparecchio. Come funzionava? Ce lo spiega bene la Treccani: “era formata da una vasca di lamiera zincata nella quale si versava prima la liscivia con acqua, poi la biancheria, che si posava su un falso fondo forato; riscaldata con fiamma diretta o con vapore, la liscivia saliva, per effetto dell’aumento di pressione, lungo un tubo centrale da cui ricadeva sulla biancheria, per rifluire successivamente attraverso il fondo, e così via”. Dalla descrizione si capisce come Alfonso Bialetti potesse aver preso in prestito lo stesso principio per applicarlo alla sua moka in alluminio che brevettò nel 1933 insieme all’amico e collega Luigi De Ponti, dandole la popolare forma a base ottagonale: anche qui la consorte sembra c’entrare, visto che l’estetica richiamerebbe le ampie gonne a pieghe portate dalla donna e la posizione che spesso teneva, con il braccio ripiegato sul fianco, da cui deriverebbe il manico.
A rendere la Moka Express un oggetto del desiderio dell’Italia del secondo dopoguerra, perché pratico e accessibile a tutti, ci pensò però il figlio Renato Bialetti, investendo in pubblicità e introducendo con la collaborazione del fumettista, disegnatore e animatore Paul Campani il famoso “omino coi baffi”, a lui ispirato, ancora adesso simbolo del marchio. Il resto, come si dice, è storia: la caffettiera è stata una star televisiva con Carosello, l’hanno reinterpretata in edizioni limitate artisti e stilisti, si trova in diversi colori, dimensioni e rivestimenti e non ha nessuna intenzione di cedere il posto ad altri strumenti più sofisticati, per i quali, difficilmente, si proverà lo stesso affetto.